Ho un carattere impulsivo e faccio fatica a non dire in modo netto quel che penso. Per di più ho una maledizione per la quale anche se sto zitto mi si legge chiaramente in faccia quel che mi passa per la testa. Anche quando cerco di essere imperturbabile, non c’è verso di nascondere sentimenti, opinioni ed emozioni.
I miei mi dicevano che assomiglio a mio nonno – Alfonso ovviamente – che aveva un carattere simile al mio. Me ne accorgevo anche io quando andavo a trovarlo d’estate, al paese della mia famiglia in Basilicata. Lo notavo da piccoli gesti. Per esempio, quando in casa si arrabbiava per un qualche motivo, usciva e andava a camminare, che è quello che faccio anche io. Camminare mi aiuta a “sbollire la rabbia”, stemperare la tensione e riflettere su come affrontare una criticità o un problema.
Ciò detto, fatto questo doveroso “auto da fè”, troppo spesso il mio carattere, o in generale quello di una persona impulsiva, diviene l’alibi per indurre nell’interlocutore la più classica delle fallacie argomentative: la critica “ad hominem”.
Negli ultimi decenni è capitato spessissimo che di fronte a una mia posizione, magari accesa o appassionata ma comunque centrata sul merito di una questione, mi si rispondesse con “ma tu hai un brutto carattere, hai reagito male, ti sei arrabbiato”. Così, magicamente, invece di discutere del “cosa” si inizia a discutere del “chi”. La colpa è mia, lo so, perché la risposta focosa è una straordinaria opportunità data a chi, non sapendo come rispondere nel merito, trova una via di fuga e contrattacca discutendo del metodo, dello “stile”, del “tono”, dei “modi”, del “messaggero” e non più del “messaggio”.
Le persone mature e di valore devono sempre cercare di essere da un lato pacate (e io spesso non lo sono, ahimè) e al tempo stesso capaci di restare nel merito delle questioni e non rifugiarsi nel criticare le caratteristiche del “messaggero”. È una fallacia che peraltro ha le gambe corte: si può cercare una vittoria tattica, di Pirro, attaccando il “chi” ed eludendo il problema, ma questo non fa magicamente sparire il “cosa”.
Presto o tardi, implacabilmente, Madama Realtà presenta il conto.