Guardare un testo o una sequenza di caratteri non ha sempre lo stesso significato ed impatto. Non basta dire “ho letto”, per esprimere realmente quanto fatto o sperimentato. “Leggere” è una delle forme con cui si fruisce di un testo e, al tempo stesso, non è vero che guardare un testo equivalga sempre ad averlo letto.
Nella mia esperienza ho notato che ci sono almeno quattro modalità per “guardare un testo”.
Scorrere
Molte volte si scorre un testo, lo si guarda velocemente per vedere se ci sono informazioni di interesse o per verificare che non perdiamo passaggi importanti. Ma questo non equivale a “leggerlo”. È una forma veloce di fruizione di un testo per capire se e in quale modo (tutto? solo in parte? …) quel testo è di interesse e, di conseguenza, valga la pena leggerlo realmente. Mi accorgo che quando “scorro” un testo applico una sorta di “pattern matching” per vedere se ci sono parti di quel testo che fanno riferimento ad espressioni o parole di mio interesse e, di conseguenza, ha senso che ne approfondisca i contenuti.
Leggere
La lettura è ciò che ci fa realmente il cogliere il senso di quella sequenza di caratteri che osserviamo con gli occhi. Qualcosa di simile accade con l’ascolto. Spesso noi udiamo suoni e parole, ma non ascoltiamo, non cerchiamo di capire ciò che ci viene detto, il senso e il significato di quel che “udiamo”. Allo stesso modo, leggere è diverso dallo scorrere un testo perché richiede che effettivamente ci concentriamo per capire e acquisire la conoscenza o informazione rappresentata da quella sequenza di simboli. Leggere è faticoso o, quanto meno, impegnativo. Richiede la nostra attenzione e la nostra concentrazione. Scorrere un testo non equivale a leggerlo. Non si legge per rilassarsi: la lettura impegna. Leggere richiede la nostra attenzione e il meglio delle nostre capacità cognitive.
Rileggere
Rileggere un testo è bellissimo e utilissimo. Fa riflettere su quel che si pensava di aver capito; dà la possibilità di riconsiderare le assunzioni fatte; permette di approfondire e arricchire quel che si era appreso nella prima lettura. Rileggere permette di rivalutare criticamente i nostri pensieri e migliorare il nostro processo di comprensione ed apprendimento.
Studiare
Leggere non equivale a studiare. Benché attraverso il processo di lettura una persona comprenda il significato di un testo, studiare è un processo ancora più articolato e ricco. Di solito mi piace spiegarlo menzionando due aspetti del processo cognitivo: analisi e sintesi.
Quando leggiamo un testo (o ascoltiamo una persona che parla) il nostro atteggiamento è rivolto a comprendere il senso delle parole che ci vengono comunicate. Analizziamo e interpretiamo quel che riceviamo. Diverso è essere in grado di applicare in pratica quanto abbiamo ascoltato. Nella mia attività di insegnante questo è emerso in modo chiaro: non basta che gli studenti ascoltino e comprendano quanto illustrato a lezione o descritto in un libro. Devono saper riapplicare quella conoscenza nella risoluzione di un problema o nella sintesi di una qualunque forma di informazione derivabile da quanto appreso. È la fondamentale differenza tra analisi e sintesi e spiega la difficoltà che spesso si incontra quando, pur avendo ascoltato, letto e capito, ci viene chiesto di risolvere un problema costruendo una soluzione che si basa sulla conoscenza che è stata acquisita. La capacità di sintesi si consolida e conquista applicando nel concreto quanto si è compreso, mettendo se stessi alla prova per costruire una soluzione ad un problema o la risposta ad un quesito che richieda di sfruttare la conoscenza acquisita. Per questo studiare è complicato: non basta capire, è vitale esercitarsi e riapplicare in pratica quanto appreso.
(Ri)Scrivere
Mi piace aggiungere a quanto detto un ulteriore commento. Sono sempre più convinto che lo scrivere (e il riscrivere) quanto abbiamo compreso e studiato sia un passaggio essenziale nello sviluppo delle nostre conoscenze. Scrivere ci mette alla prova, ci sfida a ricreare quanto appreso. È un processo simile all’insegnamento. Un detto stupido dice che “chi non sa fare insegna”. In realtà, solo chi ha veramente capito fin in fondo una materia è in grado di insegnare e condividere concetti e pensieri. Scrivere e insegnare sono i processi attraverso i quali quanto veniamo sfidati a organizzare, rielaborare e comunicare quanto abbiamo ascoltato, meditato, compreso.
Uno dei grandi problemi del nostro tempo è l’aver banalizzato il processo di apprendimento. Pensiamo che vedere un testo o un video o ascoltare una persona che parla equivalga a leggere, capire o studiare. No, non è così. Non basta entrare in aula e ascoltare il professore per “passare l’esame”. Non basta sentire uno che parla, guardare un video o scorrere un testo per acquisire una informazione o conoscenza. È questo forse il danno maggiore causato dalla facilità di accesso alle informazioni garantita dalla disponibilità delle tecnologie digitali. Ed è questa la sfida che sta di fronte a noi: riacquisire il senso profondo dei processi cognitivi che sono alla base del nostro essere soggetti senzienti e maturi.
La difficoltà adesso è riprendere dimestichezza con la lettura e poi coltivarla "lifelong" ma credo che sarà una impresa titanica . I lettori diminuiscono(pare oltre un milione ) e la comprensione del testo sembra essere un notevole problema per una parte della popolazione. Ci si abitua a testi brevi e anche se lunghi vengono scorsi trasversalmente e velocemente alla ricerca di qualche periodo che ci interessa o si va direttamente alla conclusione perché lì si può trovare la sintesi . Tutto è bignamizzato e immergersi nella pagina, respirare il personaggio o il luogo è qualcosa che rifiutiamo. E ,forse sono drastico o eccessivo, abbiamo personaggi inattuali che spacciano le più assurde verità come veritiere. Quando finirà tutto questo?
Grazie Alfonso, mi è piaciuto molto il tuo post: mi ha fatto capire che la fruizione di un testo scritto è una cosa complessa e articolata e tu l'hai spiegato molto bene. Così andrebbe fatto sempre, il mondo digitale ci spinge invece ad una grande abbuffata di informazioni. Non rimane in testa granché, non parliamo poi delle cose deliranti che troppo spesso si leggono o si fruiscono guardando dei video a ripetizione.