Uno degli episodi che ricordo con maggiore simpatia dei miei anni di liceo fu quel che accadde quando la professoressa di matematica (l’indimenticabile Prof.ssa Succi) ci spiegò gli integrali. L’integrale di una funzione è un’altra funzione la cui derivata produce la funzione di partenza. Al di là del contenuto matematico, è importante comprendere che ogni integrale deve includere un addendo costante (spesso si usa il simbolo “k”) in quanto la derivata di una costante vale zero. Quindi ogni integrale termina inevitabilmente con un “+ k”.
Per vedere se avevamo capito il concetto, la professoressa Succi ci sfidò a calcolare gli integrali di funzioni sempre più complesse. L’ultima in particolare era particolarmente sfidante. Non ricordo esattamente quale fosse, ma ho negli occhi la scena dove tutti noi cercavamo di trovare la soluzione. Dopo un po’ intuii il risultato e lo proposi. Era quello giusto, ma dimenticai la costante e un mio compagno subito aggiunse con voce squillante “+ k”! L’intera classe scoppiò a ridere e la mia “impresa” passò in secondo piano rispetto all’arguzia del nostro compagno. Quell’episodio è divenuto per me l’emblema di una distinzione che reputo centrale: quella tra precisione e pignoleria.
Molte volte mi capita di partecipare a riunioni dove si fa fatica a identificare l’aspetto veramente importante di cui ci si deve occupare. Tipicamente, è una situazione che si verifica quando la questione dibattuta è molto complessa ed è necessario innanzi tutto identificare gli elementi e i fattori chiave che la caratterizzano: le cose importanti, per l’appunto. Non di rado, capita che queste discussioni deraglino, con interlocuzioni che si estendono su tematiche poco significative, marginali, spesso del tutto irrilevanti. Tornando all’episodio della mia gioventù, abbiamo il problema di calcolare l’integrale e ci preoccupiamo del “+ k”. È un problema che ci accompagna quotidianamente, come singoli e come organizzazioni: siamo capaci di concentrarci sulle cose importanti e tralasciare quelle poco significative o del tutto irrilevanti? Ancora più importante, siamo in grado di caratterizzare con precisione gli aspetti realmente importanti? Quando stiamo approfondendo in modo appropriato un tema e quando invece stiamo perdendo tempo correndo dietro a questioni marginali?
C’è una grande differenza tra essere precisi e essere pignoli:
La persona precisa sottolinea le questioni importanti.
La persona pignola sottolinea le questioni marginali.
Io perdo la pazienza con i pignoli perché non portano alcun valore aggiunto. Anzi, accrescono il rumore di fondo, aumentano la confusione, rendono più complesso arrivare al cuore delle questioni. Paradossalmente, non aiutano ad essere precisi, anzi!
Dobbiamo cercare di essere precisi e, nel contempo, non essere pignoli. Ne ho scritto nel mio saggio Alla ricerca del buon management parlando del concetto di astrazione e credo sia una delle competenze più importanti che un manager o professionista debba possedere per affrontare con successo le sfide e le dinamiche del nostro lavoro quotidiano (e non solo).
Il linguaggio matematico, che è preciso ma non pignolo, lo dice pure in modo chiaro: "[...] a meno di una costante *inessenziale*"
Condivido pienamente. Da quando mi occupo di comunicazione tecnica e scientifica, e sono molti anni, uno dei temi ricorrenti con i miei allievi - tecnici e manager - è proprio saper individuare le poche cose veramente importanti di un progetto per poterlo raccontare con chiarezza ed efficacia. Potrebbe sembrare una cosa evidente, ma per chi è abituato a confrontarsi con la complessità non è facile rinunciare alla numerosità e riuscire a stabilire le priorità su cui investire. Questa scarsa propensione a dare le giuste priorità si vede purtroppo in molti investimenti fatti con denaro pubblico, in cui ho il sospetto che elementi marginali - ad uso dei pignoli - siano inseriti ad arte.