Le mode e la realtà
È giusto fare ricerca e innovare, ma sempre tenendo presente l'impatto concreto
“L’intelligenza artificiale cambierà le nostre vite”
“L’intelligenza artificiale distruggerà il lavoro di tanti”
“Con l’intelligenza artificiale non sarà più necessario scrivere codice”
“Con l’intelligenza artificiale …”
Ogni giorno siamo bombardati da questi messaggi a metà tra il folkloristico e l’acchiappaclick, tra il fantasioso e il sensazionalistico. E più passa il tempo, più le cose peggiorano. Non si ha più il senso della misura, si rincorrono le ultime parole chiave per suscitare di volta in volta sorpresa, timore, entusiasmo, nuovismo. È una corsa sempre più veloce verso il dirupo della superficialità, delle aspettative inevitabilmente deluse, della banalizzazione della ricerca e dell’innovazione, dello spettacolo puramente orientato a fare scena e audience.
Ed è una corsa che non si riesce a fermare: è sempre peggio.
Troppi cavalcano queste mode, siano esse la blockchain o i Large Language Model, per puro tornaconto di immagine e promozione, spesso spaventando le persone preconizzando terribili rischi che incombono su di loro o, al contrario, illudendole di chissà quali rivoluzioni avranno luogo grazie a queste “meraviglie”.
La realtà è molto diversa e più complicata, ovviamente. Certamente dobbiamo fare ricerca su questi temi. Certamente dobbiamo sperimentare per capire se e come applicare i risultati delle attività di ricerca. Certamente ci sono applicazioni già oggi realistiche e possibili. Ma è altrettanto certo che la distanza tra queste sperimentazioni e la vita reale è spesso ampia e talvolta rimane e rimarrà incolmabile: ci sono ricerche che falliscono; altre che trovano applicazioni diverse da quelle che erano state inizialmente immaginate; altre che richiedono tempi lunghi per trovare una reale applicazione; altre che sono letteralmente inapplicabili o inutili in un contesto immaturo e destrutturato.
Eppure troppi si fanno abbindolare dalle mode e dalle chiacchiere degli imbonitori di turno. Il fascino del nuovo, della pietra filosofale o dell’armageddon prossimo futuro è inarrestabile. L’esempio che più mi ha lasciato basito è costituito dalla sfilza di iniziative e prese di posizione su come le amministrazioni pubbliche cambieranno grazie all’AI. Ma come si fa a dire certe sciocchezze? Solo chi non conosce le PA può pensare di ripetere simili “proclami” senza provare un minimo di imbarazzo.
L’affubulazione cattura, convince, conquista. Scoprire che l’applicabilità di certe innovazioni è sostanzialmente bassa o inesistente non insegna nulla: passata la scoppola dell’inevitabile fallimento, al prossimo giro si ricomincia con una nuova buzzword come se niente fosse.
In realtà, quando si vive la realtà delle imprese (o le amministrazioni) ci si rende conto di quanto ci sia da fare per mettere in piedi i “fondamentali”. Quando visito le aziende spesso mi sento ripetere “noi abbiamo tutto” e poi scopro che non hanno nemmeno i dati in tempo reale dei contratti acquisiti o sullo stato dei principali processi. Però ti raccontano le meraviglie della data science e del machine learning: per fare scena, solo scena.
Vi propongo una semplice checklist. Prima di parlare di AI o data science o blockchain o qualunque altra novità più o meno fascinosa, assicuratevi che tutte queste cose siano state realizzate e usate quotidianamente nella vita dell’impresa o dell’organizzazione:
Una rete modulare, con una connettività stabile, e servizi di sicurezza stato dell’arte.
Infrastrutture di calcolo che usino al meglio i servizi cloud e gli strumenti moderni di elaborazione distribuita e in mobilità.
Servizi di collaborazione diffusi e usati in modo sistematico (office automation e collaboration platform).
Piattaforme applicative (ERP, CRM, PLM, …) integrate attraverso moderne tecniche di Enterprise Application Integration (EAI) e architetture basate su API.
Una data strategy (organizzativa e tecnologica) per integrare e gestire in modo coerente tutti i dati dell’impresa.
Sistemi di visualizzazione e analisi dei dati basati su processi e tecnologie standardizzate.
…
Sono temi “vecchi”, di qualche anno fa, fuori moda. Può essere. Peccato che troppe aziende, quando vai a verificare se hanno applicato o meno queste cose, abbiano letteralmente le braghe calate. Però ti spiegano che loro “hanno tutti i dati” e vogliono “usare l’AI per eliminare lavori inutili”.
Tornate a studiare e a fare lavori manuali, per capire il senso di parole come concretezza, impatto, efficacia. E finitela di ripetere a pappagallo ciò che pare sia oggi di moda.
Sul tema il problema per come vedo la situazione è che sistematicamente la cultura aziendale di questo Paese non ha raccolto la sfida delle tecnologie al punto che vengono dipinte come “nuove” cose di vent’anni fa, e spesso la dirigenza ha un rapporto magico con la tecnologia che, tuttavia, lentamente è diventata fondamentale per l’azienda al punto da delegare aspetti strategici e cruciali dell’amministrazione delle imprese a figure marginali dell’organizzazione.
Prof io mi occupo di ICT a “livello decisionale” da tanti anni e concordo in pieno con la sua riflessione. Fermissimo questo, osservo tuttavia che attorno alla buzzword di turno campano in tanti, a partire dai centri universitari (i mejo che conosciamo tutti) che forse potrebbero essere più coraggiosi e meno accondiscendenti. É solo uno dei tanti aspetti, ma se qualcuno là fuori avesse avuto la ghirba di dire “la blockchain è di certo una tecnologia informatica straordinaria, ma ha zero o near zero applicazioni possibili nel mondo reale” invece di foraggiare le migliaia di osservatori e seminari ed eventi acchiappaCIO&CEO.. forse quelli come me e lei (mi permetto) che sono abituati a stare un po’ fuori dai cori per privilegiare dati e fatti avrebbero avuto più chance nell’abbattere l’hype sul nascere.
Ma siam sempre lì, se fossimo una nazione di coraggiosi e non di opportunisti non saremmo messi come siamo.