Mio papà soleva ripetere una frase della saggezza popolare contadina: “Dimmi con chi vai e ti dirò chi sei.” Il senso è abbastanza semplice: ci accompagniamo con le persone che sentiamo vicine e simili a noi. Quindi, vedendo chi frequentiamo in un qualche modo diciamo chi siamo. Non è un postulato, ovviamente, nè un teorema dimostrabile con le armi della matematica o delle scienze esatte. Però la saggezza dei nostri vecchi ha sempre qualcosa da dire e di solito non sbaglia. Quanto meno ci offre uno spunto utile di riflessione.
Ho cominciato a leggere Il ritratto di Dorian Gray, di Oscar Wilde. Devo confessare che sono travolto dalla ricchezza e dalla piacevolezza della sua scrittura (bravissimo il traduttore Ugo Dèttore). Mi ha colpito la prefazione al romanzo, scritta e pubblicata dallo stesso Wilde per illustrare il senso dell’opera. È una collezione di aforismi fulminanti, arguti, profondi, sfidanti. Uno in particolare mi ha coinvolto e appassionato:
La più alta come la più meschina forma di critica sono una sorta di autobiografia.
Ripensando al motto che ricordavo in apertura potremmo rifrasare “dimmi come e cosa critichi e ti dirò di chi sei.”
Ripensavo a come sono spesso usati i social network da parte di molti, troppi: una aggressione continua a chi la pensa diversamente; il tentativo continuo di mistificare e distorcere fatti e posizioni; la continua ricerca della “vittoria” dialettica e retorica che mostri quanto uno è bravo; spesso, ahimé, la malafede e l’evidente strumentalità. Una immagine che mi pare rappresenti bene queste situazioni è rappresentata da un’altra metafora:
Non si può giocare a scacchi con un piccione, perché quello farà cadere tutti i pezzi, cagherà sulla scacchiera, e poi se ne andrà impettito come se avesse vinto lui.
Peraltro, il problema non esiste solo sui social. I social amplificano e rendono manifesto ciò che siamo e siamo diventati, illustrano e estremizzano il nostro modo di essere e il nostro modo di pensare. Quante volte vediamo questi comportamenti anche sul lavoro o nelle nostre interazioni quotidiane! Peggio, assistiamo a comportamenti passivo-aggressivi, dove una apparente socievolezza nasconde in realtà una sotterranea, astiosa e vuota contrapposizione.
Questo modo di interagire, criticare, confrontarsi è quasi sempre indice di fallimento, frustrazione, voglia di rivalsa. Non mi è quasi mai capitato di vedere persone intelligenti e mature reagire così. Certo, tutti sbagliamo e una caduta di stile, un errore, possono sempre succedere. Ma quando la critica è continuamente cieca, prevenuta, strumentale, falsa e ipocrita, palesemente distorta e distorcente allora non ho mai dubbi nel qualificare chi la fa: se certi atteggiamenti sono la norma e la cifra di una persona, allora ne definiscono indubitabilmente la caratura e l’essenza.
Fare una critica, ragionare su un problema, esporre dubbi o avanzare osservazioni, se fatto in modo trasparente e schietto, sono segni di una mente matura e generosa, aperta al dialogo. Un bellissimo saggio che ho letto recentemente, Radical Candor, di Kim Scott, parla di una virtù che trovo stupenda: il candore. Scott sostiene che dobbiamo essere radicali nell’esprimere candore, ma sottolinea un punto essenziale:
DEVELOPING TRUST IS not simply a matter of “do x, y, and z, and you have a good relationship.” Like all human bonds, the connections between bosses and the people who report to them are unpredictable and not subject to absolute rules. But I have identified two dimensions that, when paired, will help you move in a positive direction.
The first dimension is about being more than “just professional.” It’s about giving a damn, sharing more than just your work self, and encouraging everyone who reports to you to do the same. It’s not enough to care only about people’s ability to perform a job. To have a good relationship, you have to be your whole self and care about each of the people who work for you as a human being. It’s not just business; it is personal, and deeply personal. I call this dimension “Care Personally.”
The second dimension involves telling people when their work isn’t good enough—and when it is; when they are not going to get that new role they wanted, or when you’re going to hire a new boss “over” them; when the results don’t justify further investment in what they’re working on. Delivering hard feedback, making hard calls about who does what on a team, and holding a high bar for results—isn’t that obviously the job of any manager? But most people struggle with doing these things. Challenging people generally pisses them off, and at first that doesn’t seem like a good way to build a relationship or to show that you “care personally.” And yet challenging people is often the best way to show them that you care when you’re the boss. This dimension I call “Challenge Directly.”
“Radical Candor” is what happens when you put “Care Personally” and “Challenge Directly” together.
Dire chi si è e come la si pensa con “candore radicale” – o con Carità come direbbe chi ha Fede – esprime la più grande forma di attenzione verso l’altro, anzi di Amore, parola che ha senso usare in questo caso perché rappresenta esattamente e pienamente il concetto. Chi invece critica e attacca per prevaricare, “avere ragione”, confondere le persone, mostrarsi vincente, ottenere potere, raggiungere un scopo personale, non fa altro che mostrare tutta la sua miseria e cattiveria.
Bellissima quella frase di Oscar Wilde.
Grazie Alfonso per questo tuo bel contributo.
Come sempre hai messo il dito nella piaga. I social sono diventati una sorta di sfogatoio dei propri livori e frustrazioni che scarichiamo spesso e volentieri sugli altri. Confesso che qualche volta ho ceduto a questo istinto di rivalsa, ma solo ragionando a posteriori mi sono reso conto di aver mostrato la peggiore versione di me stesso. Qui su Substack cerco di essere paziente e tollerante con tutti. Anche il tipo di ambiente virtuale (o non) gioca la sua parte.
gentile Alfonso,
Mi hai rallegrato la domenica, grazie a te a ….. Wilde !