È difficile trasmettere le emozioni che provo leggendo questo capolavoro di Luigi Pirandello. La sua prosa non è semplice, almeno per me: a tratti appare barocca, ripetitiva; ma è anche incredibilmente penetrante.
Chi sono io? Come mi vedono gli altri? Cosa pensano di me? Perché appaio per ciò che non sono? Sono davvero così senza rendermene conto, oppure sono gli altri a non cogliere ciò che penso e sento davvero?
Non posso dire di essermi mai posto queste domande in modo così esplicito e profondo – e, per certi versi, surreale – come nella prosa di Pirandello. Tuttavia, spesso mi rendo conto che chi mi sta attorno interpreta i miei sentimenti e comportamenti in modo molto diverso rispetto a come li vivo io. Penso sia così per tutti noi, anche se forse non abbiamo sempre il coraggio o la lucidità di affrontare queste domande con la stessa crudezza e chiarezza. O forse siamo così immersi nelle cose di ogni giorno – preoccupazioni, gioie, emozioni, momenti di tristezza o smarrimento – che ci manca il tempo, l’attenzione, il discernimento necessari per guardarci dentro, riflettere su chi siamo, su ciò che facciamo e su come appariamo, volenti o nolenti, alle persone che ci circondano.
Non di rado provo tristezza quando mi accorgo che un mio gesto, una mia ansia o emozione vengono percepiti in modo molto diverso da chi ho di fronte. È la complessità del rapporto umano, dell’interazione, dell’incontro con chi è altro da sé. Ed è proprio questa complessità – fatta di bellezza e tragicità – che ogni giorno continua a sorprendermi e a meravigliarmi.
Sono domande che credo ognuno di noi si pone, almeno nel profondo.
La vita è così caotica che spesso queste domande trovano spazio la notte, almeno nel mio caso dato che dormo pochissimo. Ed anche io provo tristezza quando mi rendo conto che un mio gesto o una mia parola viene male interpretata da chi mi sta vicino.
Siamo elementi complessi con incredibili sfumature.
Devo rileggere il libro allora.