A qualcuno piace l'informazione?
Pensieri sparsi su fact checking delegato, desiderio di verità (o meglio di informazione) e ruolo dei giornalisti combattenti contro l’AI
Leggendo i tanti commenti alla notizia della sospensione del fact-checking indipendente da parte di Meta, possiamo dedurre che c’è ancora nelle persone sia un’attenzione alla libertà di parola ed espressione - sancito del resto dal nostro articolo 21 della Costituzione - ma anche al desiderio di verità. Del resto, chi non vorrebbe avere un facile, accessibile, magari unico punto di riferimento al quale poter fare affidamento per nutrirsi di verità? Non è forse questo anche il nome di un quotidiano italiano che in qualche modo fa l’occhiolino al lettore che deve scegliere cosa leggere per informarsi “sul serio”?
Eppure, se ci pensiamo bene, anche il giornalismo che ha nella verità uno dei suoi principi deontologici di riferimento, non garantisce verità assoluta. Il giornalista ricerca la verità (a volte senza trovarla, spesso senza avere la presunzione che sia assoluta) e nel farlo cerca, si documenta, verifica, consumava le suole in passato e consuma le dita sul PC oggi per fornire il suo punto di vista su qualcosa che è accaduto. Per informare, affinché ciascuno possa liberamente rielaborare e comprendere cosa è vero da cosa non lo è. Complicato, sì. Molto più comodo scorrere distrattamente la timeline di Facebook (o di qualche altro social), leggere di sfuggita il titolo di una notizia tra la foto di un gatto e la ricetta della torta paradiso, e berla velocemente come se fosse verità assoluta. Senza pensare, senza rielaborare, senza verificare, senza “perdere tempo” nel verificare la fonte. Più facile e comodo così, tanto che in tanti abbiamo da tempo rinunciato a informarci consapevolmente per cedere alla tentazione di farci selezionare da altri le notizie (e considerarle anche vere, perché tanto qualcuno avrà controllato, no?). Inutile adesso lamentarci di chi, con il tempo, ha capito che siamo dei consumatori poco attenti e ci rifila quello che fa più comodo rifilare.
Fatte salve allora tutte le interessanti riflessioni intorno all’importanza del fact checking (e anche alla sua parziale efficacia proprio per la nostra vulnerabilità nel credere vero ciò che conferma qualcosa in cui crediamo), sarebbe interessante riportare il dibattito intorno alla bellezza dell’informarsi, allenando l’indispensabile senso critico che dovrebbe diventare un grillo parlante da portare in tasca non solo quando leggiamo sui social o quando conversiamo con una Intelligenza Artificiale generativa, ma sempre. Compreso il momento in cui leggiamo quella che crediamo “la verità”.
In questo contesto, anche il giornalista, considerato oggi colpevole anche delle cattive previsioni meteo quando vogliamo andare al mare, potrebbe essere riabilitato. Purché non dimentichi non solo i principi deontologici ai quali ispirarsi, ma anche il fatto che il lavoro è cambiato e che l’Intelligenza Artificiale - per citare una delle innovazioni che temiamo - può diventare un’ottima collaboratrice capace di cercare, verificare, elaborare grandi quantità di informazioni che da soli non riusciremmo neppure a immaginare. Una collaboratrice che non ci ruberà il lavoro se solo ci ricorderemo qual è il valore che le persone possono portare nella ricerca della verità. Valore che ho ritrovato descritto in questo passaggio del libro “Giornalisti o giudici” di Lorenzo Grighi e Vittorio Roidi.
Con il precetto dell'umiltà, ormai disperso nella trasmissione dei valori della professione, non si intendeva (non si intende) una via francescana al giornalismo, non si evocavano (non si evocano) virtù di semplicità, moderazione, tatto. Si intendeva (si intende) l'umiltà al cospetto del fatto, al cospetto della cronaca, l'umiltà del cercatore. L'umiltà, cioè, di non ergersi a giudice, di non parteggiare, l'umiltà dello scavare senza preconcetti: l'umiltà - come diceva Biagi - di fare la fatica di capire affinché gli altri capiscano. Il buon giornalismo è giornalismo di ricerca, è la fatica del cercare, del documentarsi, del controllare.
Una fatica che oggi potremmo condividere con i diversi strumenti di Intelligenza Artificiale disponibili per diminuire la fatica del comprendere e valutare da parte di chi liberamente sceglie di leggerci. Senza intrusione algoritmica. Senza “bollini" di qualità attaccati da altri. Senza pensare che esista un’unica verità assoluta concentrata in poche righe o in un titolo letto di sfuggita. Senza rinunciare alla bellezza di informarsi.