1+7 idee per promuovere l'Innovazione
Non serve inventare continuanente nuove iniziative o misure
Qualche giorno fa ho partecipato al Nokia Italy Innovation Day 2024 presso i centri di ricerca di Vimercate. Quei laboratori, in realtà, erano nati come Telettra e poi attraverso alcune acquisizioni sono diventati prima Alcatel, poi Alcatel-Lucent e ora Nokia. Sono un centro di eccellenza di livello mondiale nel campo delle telecomunicazioni con oltre 1000 ricercatori che si occupano di tre settori chiave: sistemi mobili, comunicazioni su fibra e ponti radio. È uno dei pochi luoghi in Europa (e non solo) con una concentrazione così alta di “teste pensanti” e con una copertura così completa di tutti i settori chiave nel campo delle telecomunicazioni. All’evento hanno partecipato diversi colleghi e il Presidente Enrico Letta che ci ha spiegato in modo dettagliato il razionale e i contenuti del rapporto che ha preparato per l’Unione Europea. Nel mio intervento ho provato a riassumere le sfide che il nostro Paese si trova ad affrontare e le linee di intervento che dovrebbe seguire.
Il problema di fondo
Sia a livello Europeo e ancor di più a livello italiano, facciamo troppe norme sia per regolare il mercato sia per finanziare e sostenere ricerca e innovazione. Il risultato complessivo è una scenario regolatorio in continua evoluzione, mai stabile, complesso e complicato, difficile da leggere ed interpretare. Ad ogni piè sospinto inventiamo nuove misure, nuovi “investimenti” o strutture che in realtà non fanno che sovrapporsi in modo spesso caotico, peraltro con modalità di attuazione spesso cervellotiche e di fatto inattuabili o dagli effetti irrilevanti.
Dobbiamo rifuggire da questa continua e sfibrante ricerca di “nuovismo”, di annunci ad effetto e di ricorsa all’ultima buzzword (vedi AI).
Servono poche misure chiare e stabili nel tempo.
Una premessa essenziale (l’idea numero 1…)
I soldi sono condizione (spesso) necessaria, ma assolutamente non sufficiente. Quando sento politici che annunciano “milioni di investimenti” resto indifferente se non sospettoso. Come sono spesi quei soldi? Con quali meccanismi? Soprattutto, con quali tempistiche? Troppe volte quando si vanno ad esaminare le modalità e gli strumenti di spesa ci si accorge che, quando va bene, sono ininfluenti o inefficienti. In troppi altri casi, finiscono per essere uno spreco di risorse pubbliche oppure una allocazione subottimale di risorse, come il PNRR sta amaramente dimostrando.
Per fare politiche efficaci non bastano volontà politica e risorse: dovremmo imparare a guardare innanzi tutto all’efficacia e adeguatezza degli strumenti attraverso i quali si decide di intervenire.
Fatta questa doverosa premessa, vorrei proporre 7 idee che ho indicato molto velocemente nel mio intervento in Nokia.
7 idee
Uno dei principali problemi che viviamo nel nostro Paese è la spesa pubblica improduttiva o, meglio, che mira solo a preservare il passato e non a creare il futuro. È un problema di fondo che denuncia da un lato paura del cambiamento e, dall’altro, una profonda mancanza di visione e di programmazione di medio-lungo periodo. Ed è un problema che attraversa tutti gli schieramenti politici e ci porta ad investire enormi quantità di denaro in operazioni puramente assistenzialistiche o per difendere specifiche categorie, senza provare ad immaginare e costruire un futuro per il nostro Paese. La transizione verso nuove forme di produzione del valore è inevitabile. Il lavoro non sparisce, cambia. Il tema non deve essere bloccare il nuovo per tutelare il vecchio, ma promuovere e gestire la transizione, creare l’economia del domani e i nuovi posti di lavoro senza lasciare indietro le persone.
In Italia e in Europa viviamo un periodo di eccesso di regolazione. Il caso dell’AI è da questo punto di vista emblematico. Regoliamo troppo e, come nel caso dell’AI, troppo presto. Nel nostro Paese troppo spesso vale la regola che tutto ciò che non è esplicitamente permesso è vietato, mentre dovrebbe essere vero il contrario: ciò che non è esplicitamente vietato è permesso. Il punto non è assolutamente una società senza regole, quanto una società con regole chiare e che aiutino lo sviluppo del Paese invece che ingessarlo in ogni singolo passaggio.
Le misure di intervento, di qualunque natura e specialmente gli incentivi all’innovazione e alla ricerca, devono essere poche, semplici, di veloce attuazione, prive di cervellotici vincoli e controlli che, lungi dal prevenire “le truffe”, rendono semplicemente le misure inefficaci o scarsamente applicabili e fruibili. Da questo punto vista l’Europa e l’Italia (soprattutto) hanno moltissimo da farsi perdonare.
Anche se la vulgata fa passare il messaggio che il nostro Paese sia vittima di un “neo-turbo-liberismo selvaggio”, la verità è che abbiamo bassi livelli di concorrenza, attrattività e apertura del mercato. Ancora una volta, il punto non è “non avere regole”, anzi. Un mercato e una società che funzionino bene devono avere un insieme articolato e chiaro di regole. Il punto è che noi viviamo la sindrome opposta che rende il nostro Paese poco attrattivo per gli investimenti e la crescita. Non si chiede di passare da un estremo all’opposto (l’assenza di regole), quanto di avere un assetto normativo ragionevole e pro-crescita.
Ogni qual volta si presenta un problema o tema nuovo la politica del nostro Paese (ma anche l’Europa…) crea nuove “scatole”: centri, strutture, istituti, agenzie, autorità. Il più delle volte queste nuove strutture si sovrappongono a quelle esistenti che, ovviamente, non vengono mai chiuse o ristrutturate. Tutto si crea e nulla si distrugge, in un vorticoso giro di risorse pubbliche che vengono spese senza che ci sia una reale prospettiva di sostenibilità economico-finanziaria delle realtà che vengono create. Alla fine non si fa altro che creare nuove “scatole” autoreferenziali che vivono solo grazie all’intervento pubblico. Servono strutture per la ricerca (università, centri di ricerca pubblici e privati) che siano certamente dotati di adeguate risorse pubbliche ma che sappiano anche competere a livello europeo e internazionale. Servono strutture per l’innovazione capaci di attrarre investimenti privati e di fornire servizi realmente capaci di creare nuovi prodotti, servizi, processi. Servono finanziamenti per la creazione di nuove imprese e per l’attrazione degli attori internazionali capaci di creare nuova occupazione di qualità. Poche misure, focalizzate, che premino competizione e qualità, senza creare le ennesime scatole vuote e incapaci di produrre un reale valore aggiunto.
Il primo investimento che questo Paese dovrebbe porre in testa ad ogni programma politico o legge di bilancio dovrebbe essere quello in istruzione. Non saranno persone ignoranti a creare l’economia e la società del futuro, i posti di lavoro di qualità di cui manchiamo. Il dramma dell’abbandono scolastico, la scarsa presenza di laureati, la fuga dei nostri migliori giovani deve spingergi ad una operazione a tenaglia che da un lato investa nell’istruzione e, dall’altra, attiri e faccia nascere le nuove imprese.
Il nostro Paese non può affrontare la competizione e il confronto internazionale da solo. È folle illudersi che 60 milioni di persone, con una progressiva decrescita della popolazione, possano reggere il confronto con i colossi che si stanno formando nel mondo. La nostra unica speranza è una Europa unita e forte, capace di occupare una posizione autorevole nello scenario internazionale. Sovranismi e particolarismi non ci portano da nessuna parte.
E quindi?
Sono solo idee e ovviamente devono poi diventare strumenti, misure, leggi, norme, politiche pubbliche. Ma se le adottassimo come fondamento irrinunciabile nel formulare queste proposte, credo che il panorama delle politiche pubbliche nel nostro Paese e in Europa cambierebbe significativamente.
Ancora qualche giorno e del rapporto Draghi e quello di E.Letta non si parlerà più. Forze liberali che puntino ad una maggiore concorrenza di mercato non se vedono in politica. I tentativi messi in atto da Renzi e Calenda sono naufragati per responsabilità dei due leader dall' ego eccessivo . È di questi giorni una ulteriore frantumazione del settore con la fuoriuscita di L.Marattin. Quindi torneremo a sentire vaghe e vacue promesse e di scuola , che dovrebbe essere il motore primo per ogni sviluppo, si parlerà in relazione solo ai costi dei libri e ai compiti estivi. Stendiamo un velo.
Sempre eccezionalmente lucido. Grazie!